Il recente allarme sulle “false cooperative“ lanciato dalle organizzazioni di categoria porta alla luce, sebbene in maniera ancora troppo soffusa, una cattiva pratica sul mercato del lavoro. Una pratica di cui nessuno purtroppo parla e sulla quale gli inquirenti dovrebbero fare luce con dedizione ed attenzione. Quel lavoro nero che viene giustamente perseguito presso le aziende piccole e medie private ma che troppo spesso viene praticato all’interno delle coooperative di promozione sociale, onlus e associazioni varie.
Negli anni è stato un proliferare di società cooperative, soprattutto in Sicilia e spesso legate ad iniziative e personalità politiche di dubbia credibilità etica e morale. “Se entri in cooperativa puoi lavorare”. Questo è l’invito che il capobastone di turno propone al malcapitato che cerca occupazione, al disperato padre di famiglia così come alla giovane con laurea a pieni voti che approccia l’ingresso in un mercato del lavoro dove il tasso di disoccupazione ha superato il 20%.
E spesso queste società cooperative si trovano ad operare in luoghi pubblici, in concessione di spazi pubblici, ad erogare servizi di pubblica utilità, sociali, turistici, culturali. Per le società cooperative è più agevole entrare in rapporto economico con il settore pubblico, gestire uno spazio pubblico, valorizzare un luogo o un servizio a supporto degli enti locali. Queste società cooperative esercitano sempre nell’interesse collettivo e nel supremo obiettivo della promozione sociale.
Ma si tratta di una ipocrisia ancora più grande dell’antimafia di facciata che pare si stia sgretolando in questi giorni anche sotto i colpi di certa macchina del fango che porta sulle prime pagine dei giornali intercettazioni sensazionali essenzialmente utili ad essere strumentalizzate sul terreno politico. Ma per queste cooperative è ancora oggi più facile anche vincere le gare d’appalto, i loro servizi sono più economici, le loro offerte più competitive. Costituiscono talvolta alibi alle malecondotte di quei colletti bianchi che schermati dall’inizitiva di interesse pubblico puntano esclusivamente a piazzare in qualche ufficio i propri parenti se non la propria clientela consolidata.
Allora è tanto importante quanto inedito l’appello e la raccolta di firme lanciata dall’Alleanza Cooperative Italiane (Aci) insieme a Legacoop perchè segna una netta presa di distanza, di queste organizzazioni rappresentative, dal malaffare e da pratiche volte allo sfruttamento dei più deboli sempre più diffuse sebbene sempre sotto traccia. Ma la raccolta di firme non basterà se gli ispettorati del lavoro non compiranno gli opportuni controlli e se le Pubbliche Amministrazioni non verificheranno la consistenza reale dei soggetti a cui affidano troppo spesso servizi essenziali per la collettività, denunciando eventuali irregolarità alle autorità competenti.